Ladispoli, 1976: il Regioni diventa realtà

di Giorgio Bicocchi

Tre società, un'idea che pulsa e prende forma: eccome come il Regioni è nato, sviluppando il proprio fascino. Ripercorriamo la sintesi della prima edizione, primavera del '76. Ladispoli, ecco il primo traguardo. La corsa cresce, acquista consensi. Partecipazioni di spessore, corridori di qualità, ovviamente ancora in embrione. La presenza dei russi, dei cecoslovacchi, dei cubani. Finisce la tappa ed ognuno di essi racconta la propria storia. Non c'è solo una bici nella loro vita: il segreto del Regioni è proprio questo. Condensare lo spaccato del mondo intero, mettendo per una settimana uno accanto all'altro, il più ricco col più povero. Barone, a te l'onore di aver vinto il primo Regioni. Sembrava una favola di breve durata, un'avventura destinata magari a finire presto. Non è stato così...

Palmiro Masciarelli, era la primavera del '75, sbancava il Liberazione, prenotando una carriera prestigiosa, e già nella mente di qualcuno il Regioni era più di una scommessa. Tre componenti, associate tra loro, costituiscono il gruppo organizzativo centrale. Qui l'idea prende sostanza, l'ambizione di inaugurare una corsa nuova, che contempli il meglio del ciclismo dilettantistico, si consacra. Niente più schizzi su un foglio bianco. Il foglio assume colori, nomi, storie, situazioni. La prima edizione viene ideata nella storica sede di via Taurini, a due passi dall'Università, a Roma.

Il GS l'Unità di Lucio Tonelli ed Eugenio Bomboni, la SC Rinascita di Ravenna di Medardo Bortolotti e Jader Bassi, il Pedale Ravennate di Celso Minardi e Vittorio Casadio: sono loro, mettendo assieme idee, spunti, intuizioni, capacità di comprendere l'essenza di quella nuova avventura, che varano il Regioni. C'è uno sponsor dalle spalle larghe (la Brooklyn), il sostegno degli Enti locali. La televisione assiste il progetto, anzi lo consolida, assicurando mezzi, bravi telecronisti, spazi consistenti in palinsesto.

È la primavera del '76, allora, quando il Regioni emette il primo vagito. Il messaggio è subito chiaro: una settimana in cui si sprinta, ci si mette alla prova, si affina il proprio bagaglio tecnico. La competizione aiuta a conoscere pregi e difetti, figurarsi nello sport, dove ogni sano duello è il giusto, ingrediente per maturare. Si ha subito l'impressione, però, che la corsa nasca adulta, accogliendo il mondo intero. Professa ideali di libertà e fratellanza, accogliendo in carovana idiomi ed usanze provenienti da ogni zolla del mondo.

Il prologo di Ladispoli, una cronometro a squadre accanto al mare, annuncia il primo verdetto e la nascita di una storia che, ancora oggi, con grande soddisfazione, la Primavera Ciclistica esterna. Vince l'Olanda, precedendo di un sussulto, appena un secondo, una delle due formazioni schierate dal cittì Gregori. Dal litorale laziale si sale fino a Tarquinia: sono sere di grande suggestione. Ultimata la cena, i corridori si incontrano, raccontandosi, con l'aiuto degli interpreti, il mondo dal quale provengono. Si scambiano impressioni, non solo sulle bici o sulla componentistica degli accessori, ma pure sul mondo, sui problemi di vita vissuta, il valore di uno stipendio, il futuro di una fabbrica perché la disoccupazione è uno spettro che sempre ha spaventato. Ci sono corridori che provengono dalla Russia, dalla Cecoslovacchia. I cubani, in patria, eccellono nella boxe, nell'atletica e nel baseball, ma la delegazione che, la sera, le mani nelle tasche, passeggia nel centro di paesi o città, svela propositi ambiziosi.

In Italia il 1976 coincide con gli omicidi delle Brigate Rosse, il terremoto in Friuli, lo scandalo delle tangenti Lockheed: non sarebbero eventi da pubblicizzare, ma la vita va avanti e ci si adegua. Il muro di Berlino non è ancora caduto, ma i ragazzi dell'Est - che la nostra corsa raduna - osservano i risvolti di un mondo che, in patria, viene regolarmente ovattato.

Il Regioni va, suscita consensi. La competizione è forte, gareggiano bravi corridori. L'organizzazione funziona se è vero che, alla fine di ogni tappa, direttori sportivi e membri delle varie delegazioni incrementano i contatti con l'organizzazione, magari prenotando la partecipazione per le edizioni successive. Primo capolcassifica è l'olandese Gerry Van Gerwen, destinato a diventare poi uno stimato dirigente dell'UCI e team manager di un team Pro Tour. Nel gruppo pedala pure il popolare (allora) campione polacco, Szurkowski, vincitore dal '70 al '75 della Corsa della Pace, celebre gara a tappe che ruotava il proprio itinerario tra Berlino, Praga e Varsavia. Saranno gli anni in cui proprio la Corsa della Pace e il Giro delle Regioni, nel mese di aprile di ogni anno, diventeranno gli appuntamenti più prestigiosi (per numero e valenza tecnica dei protagonisti) del calendario agonistico.

A via dei Taurini si brinda alla crescente considerazione: i primi indizi del Regioni confortano. La gara e lo spirito della carovana piacciono. C'è interesse da parte degli investitori pubblicitari. La tv - ancora non soggiogata dallo share - riversa ogni giorno immagini di ottimo ciclismo. Quella prima edizione del Regioni, dopo Ladispoli e Tarquinia, toccherà Foligno, Montevarchi, Bagno di Romagna e Ravenna, prima di congedarsi al Lido Adriano. Dal Tirreno all'Adriatico, mutuando, in piccolo, la "corsa dei due mari" di Mealli, dedicata però ai professionisti.

L'archivio racconta che Barone, Passuello e Likhatchev (tutti vincendo due tappe a testa) dominarono gli arrivi, autografando la prima edizione. Anche i muri della nostra corsa, ormai, sanno che Barone, ex gommista di Avola, in provincia di Siracusa, vinse la corsa. Dominio azzurro, perché tre corridori italiani (Barone, Passuello e Porrini) salirono, alla fine, dopo 729 chilometri suddivisi in cinque tappe, dal 26 al 30 aprile, sul podio della classifica finale. Sembrava uno di quei sogni di fine estate, espresso magari davanti ad un tramonto. E invece il Regioni è ancora qui, fiero ed orgoglioso nonostante un anno di stop, con una pletora di bravi ragazzi, in gruppo e nell'organizzazione, che assicurano nuovi applausi.